CONCLUSIONI DELLA SESSIONE FINALE DEL TRIBUNAL RUSSELL SULLA PALESTINA
BRUXELLES, 16 e 17 marzo 2013
Introduzione
Obiettivi e funzionamento del Tribunale Russell sulla Palestina
Il Tribunal Russell sulla Palestina (TRP) è un Tribunale Internazionale nato su iniziativa della società civile in seguito alla immobilità della comunità internazionale relativamente alle violazioni riconosciute del diritto internazionale commesse da Israele.
Il TRP ha, in cinque sessioni, trattato la complicità e la responsabilità di Stati terzi, di imprese e di organizzazioni internazionali nell’occupazione israeliana dei territori palestinesi e nel mantenimento delle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Inoltre ha messo in evidenza la continuità e la globalità della politica israeliana che mira, alla fine, a rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese.
« La legalità del Tribunale Russell deriva nello stesso tempo dalla sua assoluta impotenza e dalla sua universalità[1]». Il TRP non ha legittimità giuridica, trae la sua forza dalla volontà della società civile di mettere fine alla situazione di impunità che perdura nei territori palestinesi. Non si colloca in un rapporto concorrenziale con le altre giurisdizioni (nazionali o internazionali) ma in una relazione di complementarietà con lo scopo di far applicare il diritto nella gestione del conflitto israelo-palestinese.
Il TRP ha costituito un comitato internazionale di patrocinio che comprende dei Premi Nobel, un ex Segretario generale delle Nazioni Unite, due ex Capi di Stato, e altre personalità che hanno esercitato alte funzioni politiche, e numerosissimi rappresentanti della società civile, scrittori, giornalisti, poeti, attori, registi, persone di scienza, professori, magistrati, avvocati ( sito : russel.association-belgo-palestinienne.be).
La giuria del TRP è così composta:
Stéphane Hessel (†), Ambasciatore di Francia, Presidente onorario del TRP, ha partecipato alla redazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, Francia
Mairead Corrigan Maguire, Premio Nobel per la Pace 1976, Irlanda del Nord.
John Dugard, professore di diritto internazionale, già Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, Africa del Sud
Lord Anthony Gifford, avvocato Regno Unito e procuratore giamaicano
Gisèle Halimi, avvocata, già ambasciatrice presso l’UNESCO, Francia.
Ronald Kasrils, scrittore e attivista, già ministro, Africa del Sud
Michael Mansfield, avvocato, Presidente della Haldane Society of Socialist Lawyers, Regno Unito
José Antonio Martin Pallin, Magistrato Emerito, Sala II, Corte Suprema, Spagna
Cynthia McKinney, già membro del Congresso americano, candidata alla Presidenza 2008, Green Party, USA.
Alberto San Juan, attore, Spagna
Aminata Traoré, scrittrice, già Ministra della Cultura, Mali.
Alice Walker, poetessa e scrittrice, USA.
Roger Waters, autore compositore, bassista, cantante e membro fondatore del gruppo Pink Floyd, Regno Unito
- Miguel Angel Estrella, pianista e Ambasciatore UNESCO, Argentina.
- Angela Davis, attivista politica, professore di Università e saggista, USA.
- Dennis Banks, attivista, scrittore, dirigente, insegnante e conferenziere, USA.
Con la morte di Stéphane Hessel il 26 Fébbraio 2013, il Tribunale Russell sulla Palestina ha perduto uno dei suoi fondatori, il suo Presidente onorario, e un membro attivo del suo comitato organizzativo internazionale.
Stéphane Hessel aveva partecipato a tutte le sessioni del Tribunale e si preparava a raggiungere la giuria a Bruxelles, per la sessione finale. Appassionato difensore della applicazione del diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese, egli era in qualche modo l’anima del Tribunale stesso e nella ultima sessione gli sono stati rivolti tributi sentiti.
Organizzazione delle sessioni
La prima sessione internazionale del TRP è stata organizzata dal 1 al 3 marzo 2010 a Barcellona, per analizzare le complicità e le inadempienze della Unione Europea e degli Stati membri nel prolungamento della occupazione dei territori palestinesi e le violazioni operate da Israele dei diritti del popolo palestinese.
La seconda sessione internazionale del TRP ha avuto luogo a Londra , dal 20 al 22 novembre 2010, sul tema della complicità delle imprese nelle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse da Israele.
La terza sessione internazionale del TRP si è tenuta dal 5 al 7 novembre 2011 a Città del Capo, in Sud Africa. Ha affrontato la questione seguente: « Le pratiche di Israele nei confronti del popolo palestinese violano la proibizione internazionale dell’ apartheid ? »
La quarta sessione internazionale del TRP si è tenuta dal 6 all’8 ottobre 2012 a New York, USA. Questa sessione si è occupata della complicità degli Stati Uniti e delle inadempienze delle Nazioni Unite nelle continue violazioni del diritto internazionale commesse da Israele nei confronti del popolo palestinese.
La giuria della sessione finale del TRP che ha avuto luogo a Bruxelles il 16 e 17 marzo 2013 era composta da: Mairead Corrigan Maguire, Lord Anthony Gifford, Ronald Kasrils, Michael Mansfield, Cynthia McKinney, John Dugard, Miguel Angel Estrella, Angela Davis, Dennis Banks et Roger Waters. Era assistita nel suo lavoro da un gruppo di giuristi composto da Eric David, Daniel Machover e John Reynolds.
Dopo molte settimane di scambi via internet, i membri della giuria hanno dedicato la giornata del 16 a lavorare a porte chiuse, ad adottare le conclusioni finali e a trovare un accordo sui principali elementi che sono stati presentati il 17 marzo ad una sala affollatissima, da Michael Mansfield e Angela Davis. Nella stessa occasione sono stati letti messaggi da Fadwa Bargouthi, a nome di suo marito Marwan Bargouthi, e dalle madrine del Tribunale, Nurit Peled e Leila Shahid.
La sessione Finale del TRP è stata organizzata da:
- Il Comitato Organizzatore Internazionale (COI): Ken Coates (†), Pierre Galand, Stéphane Hessel (†), Marcel-Francis Kahn, Robert Kissous, François Maspero, Paulette Pierson-Mathy, Bernard Ravenel, Brahim Senouci, Gianni Tognoni.
- Il segretariato internazionale: Frank Barat e Virginie Vanhaeverbeke, con il coordinamento generale di Pierre Galand.
- I comitati di sostegno dell’Africa del sud, Algeria, Germania, Stati Uniti, Catalogna, Cile, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, India, Irlanda, Israele, Palestina, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, RDC, Regno Unito, e Svizzera.
-Il Comitato di sostegno del Belgio .
Il Comitato Organizzatore Internazionale desidera ringraziare tutte le persone, le organizzazioni, e fondazioni che hanno reso possibile la realizzazione della sessione finale del TRP.
Conclusioni della sessione finale del TRP
In occasione della sessione finale, il TRP ha realizzato la sua missione storica che consiste, in un’epoca in cui la società mondiale si trova di fronte a enormi sfide, nello strutturare la protesta della società civile e denunciare situazioni insostenibili. E infatti la Carta delle Nazioni Unite comincia con queste parole: “Noi, popoli delle Nazioni Unite”. Da allora essa non è concepita unicamente per proteggere il potere statale.
In questa sessione finale il TRP ha riassunto le conclusioni delle 4 sessioni precedenti [2]. Le conclusioni riguardano, nell’ordine:
- Le violazioni particolari del diritto internazionale commesse da Israele
- Le principali caratteristiche del regime israeliano riguardanti i palestinesi – apartheid e sociocidio.
- La responsabilità degli Stati e in particolare degli Stati Uniti d’America, che forniscono assistenza ad Israele nelle violazioni del diritto internazionale.
- La responsabilità delle Organizzazioni internazionali (l’ONU e l’UE), che forniscono assistenza ad Israele nelle violazioni del diritto internazionale
- La responsabilità delle imprese private che forniscono assistenza ad Israele nelle violazioni del diritto internazionale.
- Azioni future e percorsi per l’avvenire.
E’ da notare che, nel rispetto dei principi di contraddittorio dei dibattiti, le istituzioni, i paesi, e le aziende messe in discussione in ogni sessione sono state invitate a presentarsi davanti al Tribunale per esporre il proprio punto di vista. Sono state ricevute alcune risposte scritte e nessun rappresentante si è presentato alle sessioni. Dispiace al TRP di non aver potuto beneficiare dell’aiuto che l’esposizione dei loro argomenti e qualsiasi prova fornita in loro appoggio, avrebbero potuto apportare.
Avvenimenti importanti accaduti dopo la sessione di New York
In primo luogo la giuria segnala un certo numero di avvenimenti accaduti dopo la sessione di New York (ottobre 2012) che confermano:
- le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele e
- il sostegno fornito dagli Stati Uniti nella attuazione di queste violazioni; e
- l’assenza di misure rilevanti all’interno della Nazioni Unite per rispondere alle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele
C’è stato in primo luogo l’attacco israeliano a Gaza dal 14 al 21 novembre 2012 nel corso della operazione Pilastro di difesa. Anche se l’offensiva terrestre israeliana è stata evitata, Israele ha causato numerose vittime (158 Palestinesi sono stati uccisi, contro sei Israeliani) e notevoli danneggiamenti agli edifici. Nel corso di questa offensiva sono stati commessi crimini di guerra. Nel corso di un attacco hanno perso la vita dodici persone – due uomini, sei donne, quattro bambini. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è arrivato a prendere una decisione in relazione a questa offensiva. Anche se il Governo americano ha giocato un ruolo importante per l’ottenimento del cessate il fuoco, il Congresso americano ha incoraggiato e sostenuto Israele.
Il 29 novembre 2012, la Palestina ha ottenuto lo status di Stato non membro osservatore conformemente ad una risoluzione della Assemblea generale adottata con 138 voti a favore, 9 contro e 41 astensioni. Questa risoluzione rappresenta un riconoscimento della qualità dello Stato di Palestina ma non gli dà lo status di membro dell’ ONU. Gli Stati Uniti, come anche Israele, hanno votato contro questa risoluzione.
In risposta alla decisione dell’ONU, Israele ha annunciato di aver approvato i piani per la costruzione di 3000 nuovi alloggi nel controverso corridoio tra Gerusalemme est e la colonia di Maale Adumim, cosa che escluderà qualsiasi possibilità di creazione di uno Stato Palestinese contiguo. Mentre la Unione Europea ha adottato una posizione forte contro questa decisione gli Stati Uniti non lo hanno fatto. Il Consiglio di sicurezza non ha adottato nessuna risoluzione su questo tema.
Come ogni anno i consoli generali della UE a Gerusalemme hanno pubblicato nel febbraio 2013 un rapporto sulla situazione nella città occupata nel quale ancora una volta hanno espresso forte critica sulla politica israeliana di colonizzazione di Gerusalemme est, arrivando a prefigurare misure destinate a ridurre gli scambi tra la UE e gli insediamenti israeliani e a ridurre il loro finanziamento, diretto o indiretto. Questi rapporti, destinati alle autorità della UE non sono stati fino ad oggi mai adottati e neanche hanno fatto oggetto di dichiarazioni ufficiali da parte delle istanze dirigenti dell’istituzione.
Nel gennaio 2013, la Missione indipendente per stabilire i fatti incaricata di studiare l’impatto delle colonie israeliane, creata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha concluso che l’insediamento di colonie di popolamento in Cisgiordania e a Gerusalemme est, avevano generato un doppio sistema giuridico di segregazione nel quale i coloni godevano di diritti superiori a quelli dei palestinesi e che minacciava i diritti umani dei palestinesi a livello sociale, politico e culturale. Anche se la missione non ha fatto ricorso al termine apartheid per descrivere il regime, non c’è dubbio che il sistema di segregazione che descrive costituisce una forma di apartheid. Il Consiglio di sicurezza non ha reagito a questo importante rapporto.
Inoltre, per la prima volta, il 29 gennaio 2013 Israele non si è presentata al suo Esame periodico universale (EPU) del consiglio dei diritti umani dell’ ONU. La decisione di Israele di boicottare l’EPU ha costituito una nuova prova del suo disprezzo per le norme internazionali relative ai diritti umani.
Il Tribunale intende anche condividere la sua inquietudine in relazione alla evoluzione della situazione in Israele, in particolare sui raids polizieschi violenti contro villaggi beduini e sulle rivelazioni relative ad iniezioni contraccettive forzate su donne ebree etiopi.
I. Comportamento d’Israele riguardo al popolo palestinese: particolari violazioni del diritto internazionale
Il Tribunale sottolinea il fatto che esso rispetta integralmente i diritti del popolo israeliano e che si oppone ad ogni forma di antisemitismo. Questi principi sono rispettati pienamente nelle testimonianze sul comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, quando viene richiesto ad Israele di metter fine alle violazioni dei diritti dei Palestinesi, agli Stati e alle imprese di mettere fine alle azioni che appoggiano le violazioni israeliane. Come il Tribunale ha ben evidenziato nelle sessioni precedenti, ci sono atti ben documentati commessi da Israele che violano le regole fondamentali del diritto internazionale (diritto internazionale consuetudinario, trattati, risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite). A questo proposito vedere in particolare il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia (CIJ) sulle conseguenze giuridiche della edificazione di un muro nel territorio palestinese occupato.
- Violazione del diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione come definita nelle risoluzioni 1514 (XV) e 2625 (XXV) e dalla CIJ nel suo parere consultivo sul muro;
- In rapporto alla costruzione del muro il par 142 del parere consultivo indica: “La corte ritiene che Israele non può avvalersi del diritti di legittima difesa o dello stato di necessità, per escludere l’illegalità della costruzione del muro come risultante dai parr. 122 e 137 qui sotto. Di conseguenza la Corte giudica che la costruzione del muro e il regime che gli è associato sono contrarie al diritto internazionale” e al paragrafo 149 la CIJ ha notato che “Israele è in primo luogo tenuto a rispettare gli obblighi internazionali ai quali è venuto meno con la costruzione del muro in territorio palestinese occupato identificati ai paragrafi 114-137 del parere consultivo. Conseguentemente Israele deve osservare l’obbligo che gli spetta di rispettare il diritto alla autodeterminazione del popolo palestinese e gli obblighi ai quali è tenuto in virtù del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale relativo ai diritti umani. D’altro canto deve assicurare la libertà di accesso ai Luoghi santi passati sotto il suo controllo in seguito al conflitto del 1967.”
- Violazione del diritto internazionale consuetudinario delle norme relative ai diritti umani (A/RES/194/III, par.11), del DIH consuetudianario codificato dal CICR nel 2005 nella regola 132, e dell’articolo 12 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con la proibizione ai rifugiati palestinesi di tornare alle loro case;
- Violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (CSNU) che esigono che Israele si ritiri dal territorio occupato (88 in totale fino alla fine del 2012) e della Carta delle Nazioni Unite che obbliga gli Stati Membri ad “applicare le decisioni del Consiglio di sicurezza(art. 25) “
- Violazione del « […] principio della inammissibilità della acquisizione del territorio con la guerra” (CSNU Ris. 242), come anche delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che condannano l’annessione di Gerusalemme. Il Tribunale osserva che il territorio palestinese occupato fa riferimento alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, ed anche alla striscia di Gaza dal momento che il ritiro di Israele nel 2005 non ha messo fine all’occupazione di questo territorio. Questo deriva dal fatto che Israele mantiene ancora un controllo effettivo sulla totalità degli spazi aerei e marittimo della striscia di Gaza e su una zona cuscinetto di 300 metri di larghezza lungo la frontiera, all’interno della striscia di Gaza, che costituisce una zona inaccessibile che priva Gaza del 35 per cento delle sue zone arabili
- Violazione del diritto del popolo palestinese di disporre delle sue risorse e ricchezze naturali in conseguenza dello sfruttamento che Israele fa delle terre arabili palestinesi, delle loro riserve di acqua, e del rifiuto israeliano di consentire ai palestinesi l’accesso a più del 10% delle loro riserve sicure di acqua potabile (A/RES/64/92),
- Violazione del diritto internazionale umanitario che proibisce:
- stabilire colonie di popolamento israeliane ( quarta Convenzione di Ginevra del 1949, artt. 49 e 147, Parere consultivo della CIJ sul muro, 2004) e le espulsioni dei palestinesi dai loro territori (idem) ;
- Le demolizioni e le espropriazioni di case e di terre arabe situate nel paese occupato (Regolamenti dell’Aia, 1907, artt. 46 et 55) ;
- di maltrattare, torturare e mantenere in detenzione amministrativa prolungata palestinesi nelle prigioni israeliane (qua rta CG, art. 3, 32 e 78);
- Il non rispetto del diritto dei rifugiati palestinesi a ritornare alle loro case (A/RES/194/III, paragrafo 11 e DIH consuetudinario come codificato dal Comitato internazionale della Croce-Rossa (CICR) nel 2005, Regola 132) ;
- gli attacchi militari contro civili e gli attacchi indiscriminati e sproporzionati contro Gaza e i campi profughi (DIH consuetudinario, Regole 1 et 14) ;
- le punizioni collettive contro la popolazione palestinese di Gaza, dove secondo l’organizzazione mondiale della Sanità la situazione non sarà più sostenibile fino al 2020 (articolo 33, quarta CG).
- Violazione delle libertà e diritti fondamentali come la libertà di movimento, la libertà di culto, e i diriti al lavoro alla salute alla istruzione derivanti dal muro e dai posti di controllo israeliani dei territori occupati che impediscono ai palestinesi di accedere liberamente al loro luogo di lavoro, alle scuole, ai servizi sanitari, ai luoghi d culto. (Patto del 1966 relativo ai diritti civili e politici, articoli 12 e 18 ; Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali, culturali, artt. 6, 12 e 13)
In occasione delle decisioni a Bruxelles del 16 e 17 marzo 2013, la giuria ha espresso forte preoccupazione relativamente al continuo arresto e su grande scala di Palestinesi da parte delle Autorità Israeliane. Ha osservato che la carcerazione di massa di prigionieri politici compresi quelli senza processo, è una questione caratteristica e particolarmente frequente in un contesto coloniale.
Nel rapporto presentato al Tribunale nel marzo 2013, l’organizzazione per la difesa dei dirii dei prigionieri palestinesi, Addameer, presenta in dettaglio le statistiche relative: dopo l’occupazione israeliana del 1967 del territorio palestinese, più di 800.000 palestinesi sono stati arrestati nei TPO su ordini militar israeliani. Questa cifra rappresenta approssimativamente il 20% della popolazione palestinese totale dei territori occupati e arriva al 40% della popolazione totale di sesso maschile. Vi sono comprese anche circa 10.000 donne imprigionate dal 1967 in poi ed anche 8000 bambini palestinesi arrestati dopo il 2000.
Sono stati presi di mira e imprigionati difensori dei diritti umani, rappresentanti politici e attivisti della società civile con lo scopo di farli tacere ed isolarli. Spesso i prigionieri palestinesi sono stati oggetto di tecniche di interrogatori coercitive, abuso di misure di isolamento, negligenza medica e anche abusi fisici e mentali che equivalgono a maltrattamenti e torture. Le condizioni di detenzione in particolare in materia di igiene, alimentazione e accesso a cure sanitarie, non rispondono generalmente alle norme minime, e le visite di familiari sono spesso rifiutate. Recentemente queste condizioni di detenzione sono venute in primo piano delle preoccupazioni internazionali in seguito agli scioperi generali della fame messi in atto da prigionieri. Il Tribunale esprime solidarietà ai prigionieri politici palestinesi e condanna nei termini più severi:
- il ricorso alla legge militare per reprimere l’espressione politica;
- il perseguimento di civili palestinesi compresi bambini davanti a tribunali militari in violazione delle norme internazionali di garanzia di un processo equo;
- la tortura e i maltrattamenti sistematicamente inflitti ai prigionieri palestinesi;
- La politica estesa di internamento senza imputazioni o processo;
Molte di queste violazioni del diritto internazionale sono sanzionate penalmente: i crimini di guerra, le colonie di popolamento israeliane, i trattamenti inumani, la tortura, gli attacchi indiscriminati, le demolizioni di case, i trasferimenti forzati di popolazione, le punizioni collettive (Progetto di codice sui crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità, della Commissione del diritto internazionale CDI, 1966, art.20 ; quarta CG articolo 147, Statuto di Roma, articolo 8.); i crimini contro l’umanità (il perseguimento definito dalla Corte penale internazionale, CPI, articolo 7, che codifica la consuetudine internazionale) ; il crimine d’apartheid (Convenzione ONU del 1973, arti 1) – sul quale ci soffermeremo più sotto.
Le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele nei confronti dei palestinesi sono particolarmente gravi in quanto sistematiche e continuative, almeno dal 1967, ed anche perché in maggior parte costituiscono crimini sotto il profilo giuridico.
D’altro canto, numerose testimonianze presentate al Tribunale lo hanno portato a prefigurare il reato di persecuzione che costituisce un crimine contro l’umanità in virtù degli Statuti dei tribunali penali internazionali e del Progetto di codice sui crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità della CDI (Art. 18, e). La persecuzione implica la negazione intenzionale e grave dei diritti fondamentali dei membri di un gruppo identificabile nel quadro di un attacco generalizzato e sistematico lanciato contro una popolazione civile. Dopo le deliberazioni a Città del Capo il Tribunale ha concluso che gli elementi raccolti confermano l’esistenza di una persecuzione contro i Palestinesi nel quadro dei seguenti atti:
- assedio e blocco di Gaza come forma di punizione collettiva contro la popolazione civile;
- prendere di mira civili nel corso di operazioni militari su grande scala
- la distruzione di case di civili non giustificata da imperativi militari;
- l’impatto negativo sulla popolazione civile colpita dal muro e dal suo regime in Cisgiordania inclusa Gerusalemme est;
- · la orchestrazione della campagna di evacuazione forzata e demolizione di villaggi beduini non riconosciuti nella regione del Negev, nel sud di Israele.
II. Le principali caratteristiche del regime israeliano relativamente ai Palestinesi: apartheid e sociocidio
Apartheid
Le prove esibite al Tribunale dimostrano chiaramente che le autorità israeliane conducono dal 1948 politiche concertate di colonizzazione e di annessione di terre palestinesi. In occasione della sessione di Città del Capo si è ugualmente concluso che Israele sottomette il popolo palestinese ad un regime di dominazione equivalente ad un regime di apartheid come definito dal diritto internazionale. Questo regime discriminatorio si manifesta con una intensità e sotto forme variabili a seconda delle diverse categorie di palestinesi a seconda del loro luogo di residenza.
I Palestinesi che vivono sotto un regime militare coloniale in territorio palestinese occupato sono sottoposti ad un regime di apartheid particolarmente grave. I palestinesi di Israele, benché godano del diritto di voto, non fanno parte della nazione ebraica relativamente alla legge israeliana e sono privati dei vantaggi che derivano dalla nazionalità ebraica e sottomessi a discriminazione sistematica che tocca gran parte dei diritti umani riconosciuti. Indipendentemente da queste differenze, il Tribunale ha concluso che l’esercizio dell’autorità israeliana sul popolo palestinese, ovunque risieda, equivale, nel suo insieme ad un regime integrato unico di apartheid.
Lo Stato di Israele è legalmente obbligato a rispettare la proibizione dell’apartheid in virtù del diritto internazionale. Oltre ad essere considerato come un crimine contro l’umanità, per il quale gli individui sono perseguibili, la pratica di apartheid da parte di uno Stato è universalmente proibita. Il Tribunale si è applicato alla autorità esercitata da Israele sul popolo palestinese sotto la sua giurisdizione alla luce della definizione giuridica di apartheid che si applica ad ogni situazione, quale che sia il paese, dove coesistono i tre elementi chiave (i) possono essere identificati due gruppi razziali diversi; (ii)atti inumani vengono commessi contro il gruppo razziale subordinato; (iii) questi atti sono commessi sistematicamente nel quadro di un regime istituzionalizzato di dominazione di un gruppo sull’altro; su questi punti le delibere del Tribunale hanno dato i seguenti risultati: :
i Gruppi razziali
L’esistenza di gruppi razziali è fondamentale nella questione dell’ apartheid. Sulla base di rapporti di esperti presentati a Città del Capo al Tribunale, la giuria ha concluso che il diritto internazionale dà al termine razziale una definizione ampia che ingloba elementi di origine etnica e nazionale e, di conseguenza che la definizione di gruppo razziale attiene alla sociologia e non alla biologia. Le percezioni (comprese le proprie e le percezioni esterne) della identità ebrea israeliana e della identità palestinese mostrano che gli ebrei israeliani e gli arabi palestinesi possono tranquillamente essere definiti come gruppi razziali distinti riguardo al diritto internazionale. Secondo le prove presentate, è risultato evidente per la giuria che esistono due gruppi distinti ed identificabili in modo molto concreto e che la definizione giuridica di gruppo razziale si applica a tutte le circostanze nelle quali le autorità israeliane esercitano le loro competenze sui Palestinesi.
ii) Atti inumani di apartheid
Gli atti inumani individuali commessi nel quadro di un tale sistema sono qualificati nel diritto internazionale come crimini di apartheid. Il Tribunale ha ricevuto numerose testimonianze che provano che atti inumani sono perpetrati nei confronti del popolo palestinese dalle autorità israeliane. Essi comprendono: privazione generalizzata della vita di Palestinesi nel corso di operazioni militari; esecuzioni mirate e ricorso ad una forza omicida contro i manifestanti; la tortura; i maltrattamenti e gli internamenti; il trasferimento forzato della popolazione e il rifiuto di far tornare i profughi palestinesi alle loro case; le sistematiche politiche discriminatorie israeliane che colpiscono i diritti socioeconomici del popolo palestinese nei settori dell’istruzione, della salute, delle abitazioni. La giuria ha considerato che tali misure vanno frequentemente al di là di quanto potrebbe ragionevolmente giustificarsi per ragioni di sicurezza e costituiscono una forma di dominazione sui Palestinesi in quanto gruppo.
Le autorità israeliane dal 1948 hanno condotto politiche concertate di colonizzazione e di annessione di terre palestinesi. Con sue leggi e pratiche Israele ha diviso le popolazioni ebrea israeliana e palestinese e le ha collocate in luoghi diversi in cui il livello e la qualità delle infrastrutture, dei servizi e dell’accesso alle risorse variano. Ne risulta alla fine uno spezzettamento territoriale sistematico , la comparsa di una serie di riserve e di enclaves separate ed una segregazione marcata tra i due gruppi. Secondo una testimonianza resa al Tribunale questa politica viene descritta ufficialmente in Israele con il nome di hafrada, parola ebraica che significa “separazione”.
iii) Un regime sistematico e istituzionalizzato
Gli atti inumani sopraindicati non arrivano per caso e non costituiscono atti isolati. Sono sufficientemente estesi, integrati e complementari per essere definiti sistematici. Sono anche sufficientemente radicati nella legge, nella politica pubblica e le istituzioni ufficiali per essere definiti istituzionalizzati. Nel sistema giuridico israeliano, gli ebrei godono di uno statuto preferenziale rispetto alla popolazione non ebrea, in forza di leggi sulla cittadinanza e la nazionalità ebraica. Queste leggi hanno dato vita a un gruppo privilegiato nella maggior parte degli ambiti della vita pubblica, in particolare i diritti di residenza, la proprietà fondiaria, l’arredo urbano, l’accesso ai servizi e ai diritti sociali, economici e culturali. Testimonianze rese da esperti dettagliano la relazione tra lo Stato di Israele e le Istituzioni nazionali ebraiche quasi statali (Agenzia ebraica, Organizzazione sionista mondiale e il Fondo nazionale ebraico) che integrano e ufficializzano un gran numero di privilegi materiali concessi esclusivamente agli ebrei israeliani.
Per quanto riguarda la Cisgiordania, le conclusioni della sessione di Città del Capo, hanno evidenziato la separazione e la discriminazione istituzionalizzate rivelate dalla esistenza di due sistemi giuridici totalmente separati: i Palestinesi sono sottoposti alla lege militare israeliana applicata da tribunali militari che non corrispondono alle esigenze in materia di norme internazionali di equità; gli ebrei israeliani che vivono nelle colonie di popolamento illegali sono sottoposti al diritto civile israeliano che dipende dai tribunali civili. Conseguentemente ci sono grandi differenze tra le procedure e le pene applicate per uno stesso reato e in una stessa giurisdizione, secondo il gruppo a cui si appartiene. Un apparato di controllo amministrativo messo in atto per mezzo di sistemi di permessi e di restrizioni burocratiche israeliane molto estese, colpisce seriamente i palestinesi nei territori sotto controllo israeliano. Contrariamente alla legislazione sull’apartheid sud africana, esplicita e facilmente accessibile, il Tribunale ha richiamato l’attenzione sul carattere oscuro e inaccessibile di un gran numero di leggi, di ordini militari e di regolamentazioni che sono al di sotto del regime istituzionalizzato di dominazione israeliano.
Sviluppi della situazione dopo Città del Capo
Sulla base degli elementi sopra detti, il Tribunale ha rilevato nelle conclusioni di Città del Capo che Israele viola chiaramente la proibizione internazionale dell’apartheid. Il primo trattato giuridico internazionale che ha codificato le norme contro l’apartheid è stata la Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1965. L’articolo 3 di questa Convenzione condanna in modo particolare l’apartheid e la segregazione e le definisce manifestazioni flagranti di discriminazione razziale, invita gli Stati parti della Convenzione tra cui Israele a “prevenire, proibire, e eliminare sui territori sotto la loro giurisdizione tutte le pratiche di questa natura”. Il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale dell’ONU esamina a rotazione il comportamento degli Stati che hanno firmato la Convenzione a distanza di qualche anno. Israele si è presentato per il suo esame davanti al Comitato di Ginevra nel febbraio 2012. Sulla base della conclusione della sessione di Città del Capo il Tribunale Russell ha presentato osservazioni scritte e orali in occasione delle audizioni su Israele del Comitato. Nelle sue osservazioni finali pubblicate in marzo 2012 il Comitato “ha fatto il passo senza precedenti di censurare Israele per apartheid”. [8] Il Comitato ha ripetuto le sue preoccupazioni già sollevate nei precedenti esami di Israele relative alla generale segregazione tra i settori ebrei e non della società israeliana prima di dichiararsi particolarmente costernato per il carattere ermetico della separazione tra popolazioni ebrea e palestinese nei territori palestinesi occupati. Ha considerato che questa separazione includeva le distinzioni in materia di sistema giuridico e istituzionale, di infrastrutture fisiche, di accesso ai servizi e alle risorse così come nella concessione di diritti e libertà. “Da allora il Comitato ha esortato Israele, conformemente all’art.3 della Convenzione, di proibire e sradicare ogni forma di segregazione razziale e di apartheid aventi conseguenze pesanti e sproporzionate sulla popolazione palestinese.” [9]
Recentemente, in febbraio 2013, il rapporto della Missione per stabilire i fatti del Consiglio dei diritti umani dell’ONU incaricata di studiare gli effetti delle colonie nei territori palestinesi occupati, ha ugualmente condannato le politiche israeliane di segregazione: “ Il regime giuridico di segregazione attuato nei TPO ha permesso di stabilire e rafforzare le colonie attraverso la creazione di uno spazio giuridico privilegiato per le colonie e i coloni. Ne risultano violazioni quotidiane di molti diritti umani dei palestinesi nei TPO, comprese le violazioni insostenibili dei loro diritti alla non discriminazione, alla uguaglianza, davanti alla legge e alla pari protezione della legge”[10]
Invece di seguire le raccomandazioni del Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e del Consiglio dei diritti umani, o gli appelli del Tribunale Russell di Città del Capo, di “mettere immediatamente fine al sistema di apartheid che Israele impone ai palestinesi, di abrogare tutte le leggi e pratiche discriminatorie e di non adottare più altre leggi discriminatorie”, le politiche israeliane discriminatorie e di segregazione hanno proliferato. Ad esempio all’inizio di marzo 2013, la società di trasporti israeliana che opera in Cisgiordania sotto gli auspici del Ministero dei Trasporti israeliano ha attuato un piano con lo scopo di mettere in circolazione autobus riservati agli ebrei e autobus riservati ai palestinesi sulle linee che collegano la Cisgiordania al centro di Israele. Il ministero aveva suggerito l’applicazione di un tale piano da novembre 2012 su domanda di dirigenti delle colonie ebraiche. .[11]
Data l’evoluzione della situazione, le conclusioni e gli appelli all’azione del Tribunale relativamente alla politica israeliana di apartheid rivestono un carattere di urgenza.
Sociocidio
Il diritto positivo internazionale non riconosce il crimine di sociocidio come tale. Non esiste alcuna prova della sua esistenza nel diritto internazionale e nessuna tendenza attuale nelle questioni internazionali che potrebbe condurre a riconoscerlo come crimine internazionale.
In base a questo allora il crimine di sociocidio resta in quanto tale un concetto accademico, ma era avvenuto lo stesso con il termine “genocidio” quando venne utilizzato per la prima volta nel 1944. Eppure questo è diventato un concetto giuridico 4 anni dopo (Convenzione sul genocidio, 1948)
La distruzione sistematica della essenza di un gruppo sociale, cioè di tutti gli elementi che fanno sì che un gruppo rappresenti di più della somma dei suoi membri, porterà inevitabilmente alla distruzione del gruppo stesso anche se i suoi membri sono sempre per la maggior parte fisicamente indenni.
Attualmente in Palestina viene attuata una distruzione generalizzata e sistematica di certe strutture politiche e sociali palestinesi. Nei fatti, con il proseguire dell’occupazione militare del territorio, della costruzione di colonie di popolamento civile, con la costruzione del muro che situa porzioni di territorio palestinese fuori della portata della Autorità palestinese e infine per il blocco della striscia di Gaza, le autorità israeliane hanno materialmente impedito ai palestinesi di organizzare una struttura politica pienamente capace di governare in quanto entità nazionale distinta.
Israele viola chiaramente il diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione. Gli ostacoli posti dalle autorità israeliane all’organizzazione dei palestinesi in quanto entità nazionale sono generalizzate e sistematiche. Il comportamento di israele potrebbe condurre nel lungo periodo alla distruzione della popolazione palestinese in quanto entità nazionale distinta e lasciarne solo la somma di individui sotto amministrazione politica israeliana. La popolazione palestinese in quanto entità nazionale non può effettivamente esercitare il suo diritto alla autodeterminazione ed è chiaramente vittima del colonialismo; per questo attualmente si trova di fronte a un sociocidio.
La maggioranza degli atti che costituiscono un sociocidio sono attualmente già oggetto di condanna del diritto internazionale positivo in quanto sono sia crimini verso l’umanità sia crimini di guerra o di apartheid, in base, a seconda dei casi, allo Statuto della Corte penale internazionale, delle convenzioni di Ginevra del 1949, del Primo protocollo aggiuntivo del 1977 e della Convenzione dell’ONU contro l’apartheid del 1973.
In seguito dunque alle deliberazioni supplementari del 16 e 17 marzo 2013, la giuria del Tribunale sostiene la realizzazione di un ulteriore lavoro in vista di elaborare una definizione giuridica che metta l’accento sul carattere illegale e criminale del colonialismo e della negazione a un popolo della possibilità di esercitare collettivamente il suo diritto al autodeterminazione. [12]
Un esempio particolarmente evidente di sociocidio attraverso la distruzione del tessuto economico e sociale è il caso dei beduini palestinesi che vivono nel Negev israeliano (Naqab, in arabo). Dal 16° secolo i beduini del Naqab si muovono nelle loro terre con i greggi di capre e di cammelli per cambiare la pastura in funzione delle stagioni. Durante la guerra del 1948 tra Israele e i suoi vicini arabi, Israele ha costretto i beduini a lasciare queste terre tradizionali e a istallarsi in un piccola area del nord Naqab. Israele ha promesso che sarebbero stati autorizzati a tornare sulle loro terre originarie sei mesi dopo. La promessa non è stata mantenuta e oggi la metà dei beduini del Naqab vivono in 46 villaggi “non riconosciuti” , dei quali solo 10 sono all’interno del processo di riconoscimento da parte di Israele. Distruggendo il sistema di vita tradizionale dei beduini, Israele viola non solo la Dichiarazione 2007 dell’AGNU (Assemblea Generale delle Nazioni Unite) sui diritti dei popoli indigeni (artt. 25 e segg.) ma commette anche un sociocidio.
III. Responsabilità degli Stati, in particolare degli Stati Uniti d’America
Nel suo parere consultivo del 2004, la CIJ al paragrafo 155, ha notato che “nell’insieme degli obblighi violati da Israele figurano obblighi erga omnes” Come la Corte ha indicato nell’affare Barcelona Traction, tali obblighi, per loro stessa natura, riguardano tutti gli Stati e “vista l’importanza dei diritti in questione, tutti gli Stati possono essere considerati come aventi un interesse giuridico a che questi diritti vengano protetti “(Barcelona Traction, Società Luce ed elettricità, Limited, Seconda fase, Arrêt, Rapporti CIJ 1970, pag. 32, paragr. 33). Gli obblighi erga omnes violati da Israele sono l’obbligo di rispettare il diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione ed alcuni degli obblighi che derivano dal diritto umanitario internazionale”
La Corte ha ricordato agli Stati l’obbligo di rispettare il diritto umanitario internazionale in conformità del primo articolo comune alle quattro Convenzioni di Ginevra e ha aggiunto che “ risulta da questa disposizione l’obbligo di ogni Stato parte di questa Convenzione (la quarta), che sia o no coinvolto in un determinato conflitto, che i requisiti degli strumenti in questione vengano rispettati” ( §158)
Il paragrafo 159 espone chiaramente gli obblighi degli Stati:
« Vista la natura e l’importanza dei diritti e degli obblighi in questione, la Corte ritiene che tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere la situazione illegittima che deriva dalla costruzione del muro nel territorio palestinese occupato, compreso all’interno e all’intorno di Gerusalemme est. Hanno altresì l’obbligo di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento della situazione creata da questa costruzione. Spetta d’altronde a tutti gli Stati di vegliare, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale affinché venga messo fine agli ostacoli derivanti dalla costruzione del muro all’esercizio del diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione. Inoltre tutti gli Stati parti della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, 12 agosto 1949, hanno l’obbligo, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite, di far rispettare da Israele il diritto internazionale umanitario incorporato in questa Convenzione”
Gli Stati non hanno per nulla corrisposto a questi obblighi ma si osserva in particolare che l’espansione coloniale continua di Israele, le sue politiche razziali separatiste, il suo militarismo violento, sarebbero impossibili senza il sostegno inequivoco degli Stati Uniti. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, in particolare nel periodo della guerra fredda, gli USA si sono impegnati a favore della creazione e della viabilità di Israele in quanto Stato esclusivamente ebraico militarizzato a danno dei diritti umani dei Palestinesi. Mentre i Governi degli USA hanno in un primo tempo portato sostegno morale, dopo la guerra dei sei giorni nel 1967, hanno sostenuto incondizionatamente Israele sul piano militare, economico e diplomatico al fine di mantenere la superiorità militare qualitativa di Israele sui vicini arabi e questo in violazione del loro diritto interno. Israele è il più grande beneficiario degli aiuti esteri degli Usa dal 1976 e il maggior beneficiario degli aiuti accumulati dopo la seconda guerra mondiale per un ammontare di 115 miliardi di dollari. Israele beneficia inoltre di un sostegno diplomatico. Tra il 1972 e il 2012 gli USA sono stati per 43 volte (di cui trenta relativamente ai TPO) la sola nazione a opporre un veto alle risoluzioni dell’ONU critiche verso Israele e sono state esercitate pressioni su alcuni Stati membri per evitare che le risoluzioni dell’Assemblea generale che consideravano Israele responsabile non venissero adottate e attuate. Israele riceve il 60% dei fondi del Foreign Military Financing (FMF) degli USA, che ne fa il più importante beneficiario di finanziamenti militari americani.
Esempi di ostacoli diplomatici posti dagli Stati Uniti :
- · Colonie di popolamento. Mentre gli Stati Uniti hanno dichiarato che consideravano contrario al diritto internazionale il trasferimento di coloni ebrei nei TPO e hanno sostenuto nell’occasione risoluzioni di condanna alla costruzione di colonie, recentemente hanno invece espresso un veto a tali risoluzioni ( l’ultima volta che è stato espresso un tale veto è febbraio 2011). La costruzione di colonie rende illusoria qualsiasi speranza di creazione di uno Stato Palestinese e permette ad Israele di costruire un impero coloniale e di praticare l’apartheid nei TPO. L’Autorità palestinese ha dichiarato più volte che non riprenderà i colloqui con Israele fintantoché non cessi la costruzione di colonie. Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano sostenuto l’Autorità Palestinese su questo terreno e il loro comportamento ostruzionista dimostrano che gli Stati Uniti accettano le conseguenze più sopra citate derivanti dalla iniziativa coloniale. Ancor più grave è che gli Stati Uniti apportano un sostegno materiale indiretto alla costruzione delle colonie fornendo aiuto finanziario ad Israele senza prendere le misure necessarie per garantire che uesti aiuti non siano utilizzati per la costruzione di colonie o di infrastrutture collegate alle colonie.
- · Il muro. Il muro che Israele costruisce in parte sui territori palestinesi pretenderebbe di assicurare la sicurezza di Israele. Negli ultimi tempi è tuttavia diventato chiaro che è concepito per servire da futuro confine tra Israele e uno Stato palestinese. In altri termini, si ratta di una annessione e appropriazione illegittima di territorio palestinese. La Corte internazionale di giustizia ha detto nel 2004 che la costruzione del muro viola il diritto internazionale. Gli Stati Uniti però non hanno mai accettato l’illegittimità di questa misura anche se essa è stata condannata dagli Stati Uniti e dalla Unione Europea. L’organo delle Nazioni Unite più adeguato a prendere misure per obbligare Israele a mettere fine alla costruzione del muro e smantellare le porzioni già costruite è il Quartetto [13], che ha avuto il mandato dal Consiglio di sicurezza di promuovere la pace nella regione. Nonostante ciò sotto la costrizione degli Stati Uniti il Quartetto non ha mai riconosciuto l’illegittimità del muro né ha riconosciuto il parere della CIJ e non ha fatto nulla per opporvisi. Di conseguenza il parere consultivo è stato annullato e l’illegittimità del muro non figurano più nell’agenda internazionale.
- · Gaza et il diritto internazionale umanitario. E’ innegabile che Israele ha commesso violazioni gravi del diritto internazionale umanitario nel corso dell’operazione Piombo Fuso del 2008-2009. Uccidendo civili, distruggendo case private, Israele non ha fatto distinzione tra i combattenti e i civili, tra obiettivi militari e obiettivi civili. Molti rapporti governativi e non governativi credibili lo testimoniano. All’epoca gli Stati Uniti si sono assicurati che le azioni di Israele non venissero condannate dal Consiglio di sicurezza. Da allora hanno usato la loro influenza per impedire che la Corte penale internazionale persegua i dirigenti politici e militari israeliani.
- Autodeterminazione e status di Stato. Gli Stati Uniti sono responsabili del blocco all’ammissione della Palestina nelle Nazioni Unite nel 2011 e hanno fatto tutto per impedire che la risoluzione del 2012 che riconosceva lo status di Stato non membro della Palestina venisse adottata.
E’ complicato valutare il comportamento degli Stati Uniti in termini di responsabilità giuridica. In primo luogo è evidente che gli Stati uniti violano le Convenzioni di Ginevra del 1949 il cui articolo uno stipula che le Alte Parti contraenti “ si impegnano a rispettare e a far rispettare la presente Convenzione in tutte le circostanze”. Il diritto internazionale consuetudinario (regola 139 dello studio del CICR sul diritto internazionale consuetudinario) conferma questo obbligo e va anche oltre dichiarando che “ Gli Stati non possono incoraggiare le parti di un conflitto armato a commettere violazioni del diritto internazionale umanitario. Devono, nella misura del possibile, esercitare la loro influenza per far cessare le violazioni del diritto Internazionale umanitario” Regola 144 dello studio del CICR.
Gli USA non si sono soltanto astenuti dal garantire il rispetto del DIH da parte di Israele, ma hanno anche esercitato poco o nulla influenza su Israele perché metta fine alle violazioni fondamentali del DIH. Anzi, qualche volta hanno incoraggiato Israele a violarlo. Gli Stati Uniti hanno autorizzato e, indirettamente, incoraggiato la costruzione delle colonie e del muro. Più diretto è stato il loro sostegno in occasione degli attacchi israeliani su Gaza tanto da potersi definire incoraggiamento. I dirigenti politici e militari israeliani si recano negli Stati Uniti in completa impunità. I Tribunali americani hanno rifiutato di avviare il perseguimento di queste persone. Con ciò gli Stati Uniti violano gli articoli 146 et 147 della quarta Convenzione di Ginevra che obbligano gli Stati a deferire alle loro Corti le persone che commettono gravi infrazioni di questa Convenzione. Le azioni perpetrate da Israele durante l’operazione Piombo Fuso che sono state qualificate come crimini di guerra o crimini contro l’umanità cadono chiaramente sotto queste disposizioni.
La responsabilità internazionale di uno Stato è impegnata allorché aiuta o assiste un altro Stato nel commettere fatti internazionalmente illeciti (art.16 del progetto di articoli della CDI sulla responsabilità dello Stato). Senza dubbio gli Stati Uniti assistono Israele nel commettere fatti internazionalmente illeciti forneno aiuto militare, materiale e politico ad Israele.
Uno Stato membro è tenuto a dare prova di buona fede all’interno della Organizzazione. L’articolo 2(2) della Carta dell’ONU obbliga gli Stati membri a corrispondere in buona fede agli obblighi che si sono assunti in conformità alla Carta dell’ONU. Tale obbligo si applica a fortiori a un membro permanente delle Nazioni Unite che dispone del diritto di veto. Il comportamento degli USA in seno alle Nazioni Unite è una prova della loro malafede. Essi hanno opposto il loro veto a risoluzioni di condanna delle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele e hanno grossolanamente abusato del loro status di membro del Quartetto per dissuadere quest’ultimo a prendere misure concrete per promuovere il processo di pace.
IV. La responsabilità di talune organizzazioni internazionali per essere venute meno al loro obbligo di impedire ad Israele di violare il diritto internazionale
Il Tribunale ha preso in esame se le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele obbligano l’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’Unione Europea a prendere misure più concrete per impedire ed eliminare tali violazioni e, in caso di mancanza di reazione, quali sono le conseguenze di una tale omissione.
Il Tribunale ha giudicato che Israele ha seriamente violato norme internazionali di cui l’ONU è incaricato di assicurare il rispetto in conformità della Carta, del diritto delle Nazioni Unite e del Parere consultivo della CIJ del 2004: il diritto dei popoli all’autodeterminazione, i diritti fondamentali della persona e il diritto internazionale umanitario.
Di fronte a tali violazioni, la cui gravità aumenta a seconda della natura e del carattere (violazione di norme perentorie del diritto internazionale e carattere criminale di numerose violazioni), la durata e la ripetizione, l’ONU non può limitarsi a semplici condanne verbali: le sue misure devono essere proporzionate alla durata e al grado di gravità delle violazioni israeliane e devono essere conformi alle misure che il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale hanno preso in passato in risposta a situazioni che talvolta erano di minor gravità, vale a dire l’imposizione di sanzioni comprendenti, tra l’altro, embargos sulle relazioni commerciali e militari degli Stati interessati e, per due volte, il rinvio della questione alla CPI.
Il Parere consultivo della CIJ stipula che: “ l’organizzazione delle Nazioni Unite e specialmente l’Assemblea Generale e il Consiglio di sicurezza devono, tenendo in giusto conto il presente Parere, esaminare quali nuove misure debbano essere prese al fine di mettere termine alla situazione illecita che deriva dalla costruzione del muro e del regime ad esso associato” (par. 160)
Malgrado ciò, l’ONU non è pervenuto a garantire il rispetto del Parere consultivo e delle regole del Diritto internazionale umanitario. Non ha preso misure per mettere fine all’operazione Piombo fuso e in seguito non è riuscita a deferire alla CPI i responsabili dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità in occasione di quella operazione, a dispetto delle raccomandazioni in questo senso formulate da un certo numero di missioni per stabilire i fatti, ivi compresa quella del Consiglio dei diritti umani. Mentre il Darfour e la Libia sono stati deferiti alla CPI dal Consiglio di sicurezza, nessuna misura di questo tipo è stata presa dal Consiglio di sicurezza nei confronti dei crimini commessi contro i Palestinesi. Inoltre la stessa Corte Penale internazionale - una istituzione internazionale indipendente incaricata di determinare le responsabilità in materia di crimini internazionali – non è chiaramente pervenuta, attraverso l’Ufficio del Procuratore, a realizzare il suo mandato di lotta contro l’impunità. Essa ha in effetti rifiutato di validare la dichiarazione palestinese che accetta la giurisdizione della CPI, che ciò sia prima o dopo il riconoscimento dello status di Stato non membro della Palestina da parte della Assemblea Generale dell’ONU.
Mentre il diritto internazionale tende a lasciare tra le mani degli organismi competenti dell’ONU la scelta politica dell’adozione di sanzioni, una interpretazione ragionevole delle regole che presiedono al comportamento di questi organismi, in particolare la Carta dell’ONU, alla luce di certi precedenti e delle regole consuetudinarie e trattati internazionali che regolano il diritto dei popoli alla autodeterminazione, i diritti umani e il diritto internazionale umanitario, insieme alla responsabilità di proteggere e dar prova di buona fede e diligenza ragionevole, conduce il Tribunale alla conclusione che le omissioni dell’ONU costituiscono fatti internazionalmente illegali che impegnano la sua responsabilità internazionale.
La storia delle risposte dell’ONU alle ripetute e persistenti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, è una storia punteggiata di assenze di reazioni e di complicità. Nel 1948 l’ONU ha ammesso Israele come Stato membro dell’ONU nonostante il fatto che la sua creazione violasse il principio di autodeterminazione in rapporto al territorio della Palestina mandataria. Anni dopo, nel 1967, l’ONU invece ha richiesto agli Stati di non riconoscere la Rodesia quando cercava con una secessione di formare uno Stato indipendente perché allora negava il diritto alla autodeterminazione di una maggioranza nera. La creazione dello Stato di Israele a spese del diritto alla autodeterminazione dei palestinesi in circostanze analoghe non ha impedito l’ammissione di Israele all’ONU.
Dal 1948, l’ONU consente ad Israele di violare il diritto internazionale con piena impunità.
- Non ha assicurato il ritorno delle popolazioni profughe palestinesi sfollate al momento delle guerre del 1948 e del 1967 e non ha trovato una soluzione umana a questo problema.
- Non ha garantito la restituzione delle terre occupate da Israele nel 1967 ed ha vergognosamente autorizzato la colonizzazione israeliana in Cisgiordania e a Gerusalemme est in un’epoca in cui il colonialismo era considerato illegale
- Non ha preso, nel corso di questo processo, misure energiche per mettere fine alla costruzione di colonie di popolamento da parte di Israele;
- Non ha garantito il rispetto del Parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 secondo il quale la costruzione del muro su territorio palestinese è illegittima e dovrebbe essere smantellata; anche se questo Parere non è vincolante per gli Stati membri, è vincolante per le Nazioni Unite, dal momento che è stato accettato dalla Assemblea Generale. In questo caso l’assenza di reazione del Segretario generale relativamente alla applicazione del Parere consultivo colpisce particolarmente. In quanto rappresentante dell’ONU all’interno del Quartetto non si è assicurato che il Quartetto si occupi della questione. Da questo punto di vista il Segretario Generale ha fatto il gioco degli USA.
- L’ONU ha ceduto di fronte alla determinazione degli USA di tutelare Israele. La complicità del Segretario Generale sotto questo aspetto è stata inoltre dimostrata dalla nomina, da lui curata, di una Commissione di inchiesta composta da amici di Israele al fine di rendere più fragili le conclusioni della Commissione di inchiesta del Consiglio dei diritti umani incaricata di indagare sull’attacco israeliano alla Mavi Marmara, che cercava di rompere il blocco di Gaza con forniture umanitarie nel 2010.
L’ONU non è arrivato a promuovere il diritto alla autodeterminazione del popolo palestinese. Il mandato del 1920 per la Palestina imponeva una “missione sacra” di di civilizzazione alla Società delle Nazioni che doveva condurre la Palestina all’indipendenza. Le Nazioni Unite hanno ereditato questa sacra missione. Dopo più di 50 anni l’ONU non è riuscito a portare a termine questa missione. Ha autorizzato la creazione dello Stato di Israele a partire dal piano di partizione del territorio palestinese sotto mandato, ma non ha riconosciuto lo status di Stato membro alla Palestina. Nel novembre 2012 ha accordato lo status di Stato non membro osservatore alla Palestina, ma sotto la pressione degli Stati Uniti, ha rifiutato di ammettere la Palestina come membro dell’ONU.
L’UE neppure, un attore importante nelle relazioni internazionali, si comporta come esige il diritto internazionale. Mentre la UE non ha il mandato come le Nazioni Unite, di assicurare il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e quindi non può essere accusata di negligenza a questo proposito, tuttavia il diritto internazionale generale esige, come per l’ONU, di agire, nella misura del possibile, per assicurare il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione, dei diritti umani fondamentali, del diritto umanitario internazionale. Questo obbligo spetta anche alla UE che ha fatto della difesa dei diritti umani fondamentali un elemento determinante delle sue politiche interne e internazionali, e dai suoi stessi impegni nel quadro del trattato sulla Unione Europea e l’accordo di associazione euro-mediterraneo del 1995.
L’UE, lungi dal conformarsi alle regole generali del diritto internazionale, e alle regole che si è imposta essa stessa, mantiene relazioni militari, commerciali, culturali e politiche con Israele, politiche che in pratica sostengono la politica israeliana di occupazione e colonizzazione nei confronti dei palestinesi, e di conseguenza le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele a danno della Palestina. Assistendo Israele nelle sue violazioni del diritto internazionale l’UE si rende essa stessa colpevole di fatti internazionalmente illegittimi che coinvolgono la sua responsabilità internazionale.
Alle azioni della UE in sostegno di Israele, si aggiunge la passività nei confronti delle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele, che è anch’essa sinonimo di approvazione di tali violazioni e costituisce un fatto internazionalmente illegittimo e quindi attiene alla sua responsabilità internazionale.
La responsabilità delle organizzazioni internazionali, esattamente come quella degli Stati, può essere impegnata per fatti internazionalmente illegali (Articolo 3 del Progetto di articoli della CDI sulla responsabilità delle organizzazioni internazionali). Esse sono come gli Stati tenute a riparare integralmente il danno causato da fatti internazionalmente illegali. In pratica è difficile pensare che una richiesta di riparazione all’ONU possa andare a buon fine. Tuttavia, il fatto che l’ONU abbia commesso una serie di fatti internazionalmente illegali costituisce un serio colpo alle sue politiche e pratiche, in particolare quelle del Consiglio di sicurezza e del Segretario generale. L’ONU ha chiaramente perso sul piano morale per quanto riguarda la Palestina. Il fatto che non abbia trattato la Palestina in modo giusto ed equo costituisce una sconfitta cocente dell’ONU.
V. La responsabilità delle imprese private nella violazione del diritto internazionale commesse da Israele
Alcune imprese private sono state coinvolte nel conflitto di Gaza (2008-2009) per esempio fornendo armi e equipaggiamenti militari a Israele. Sono anche coinvolte nella costruzione di colonie da un lato fornendo a Israele attrezzature per la distruzione dei possedimenti palestinesi, dall’altro sta bilendo legami economici con le colonie: su un altro versante sono coinvolte nella costruzione del muro israeliano nel territorio palestinese occupato, attraverso la fornitura di materiali, di macchinari da costruzione e di sistemi di sorveglianza. Occorre a questo proposito sottolineare che:
- Il conflitto di Gaza è sfociato in un bombardamento sproporzionato o indiscriminato di Gaza che costituisce un crimine di guerra;
- Impiantare colonie di popolamento israeliane costituisce ugualmente un crimine di guerra;
- La costruzione del muro di separazione israeliano in Palestina è concepita per proteggere le colonie israeliane in Cisgiordania e ostacola la libertà di movimento dei Palestinsi residenti tra il muro e la Linea verde (la linea di demarcazione tra Israele e la Giordnaia fissata al momento dell’armistizio del 1948)in modo tale che essi non possono lavorare liberamente nei propri campi e non godono di libero accesso ai servizi sanitari e educativi. Ne consegue che la costruzione del muro costituisce una persecuzione del popolo palestinese nel territorio occupato sulla riva est del Giordano e costituisce di conseguenza un crimine contro l’umanità.
Dal momento che imprese private hanno collaborato con Israele fornendo attrezzature militari e materiali per la costruzione del muro o la demolizione di edifici palestinesi, esse hanno contribuito ai crimini di guerra commessi da Israele nel corso del conflitto di Gaza e sono da quel momento complici di questi crimini. Ne consegue che hanno responsabilità penali e civili.
Diverse imprese hanno partecipato a impiantare colonie israeliane sia tessendo legami economici con le colonie, che finanziando la costruzione di beni immobiliari che investendo in imprese situate nelle colonie ed importando merci prodotte dalle colonie e offrendo loro servizi commerciali. Queste relazioni economiche importanti con le colonie, costituiscono una forma di assistenza equivalgono dunque ad una complicità in crimini di guerra. Inoltre, acquisendo e detenendo beni e prodotti (compresi quelli finanziari) provenienti dalle colonie le aziende private commettono, a seconda dei casi, reati penali di occultamento o di riciclaggio.
E infine le imprese private che hanno partecipato alla costruzione del muro israeliano sul territorio palestinese fornendo beni ed attrezzature, contribuiscono a commettere quei crimini contro l’umanità che discendono da questo progetto e pertanto ne diventano complici, avendo quindi di nuovo una responsabilità penale e civile.
VI. Azioni future e percorsi per l’avvenire
Il Tribunale sollecita quante più persone possibili a recarsi in Palestina per constatare la quotidianità dei Palestinesi.
Nello spirito di Stéphane Hessel, Presidente onorario del Tribunale, la giuria lancia un appello internazionale urgente a tutti gli attori politici e alla società civile perché facciano pressione su Israele affinché metta fine alle violazioni del diritto internazionale e affinché facciano pressione sul Segretario generale delle Nazioni Unite affinché utilizzi tutti i mezzi di cui l’ONU dispone per obbligare Israele a smantellare il suo sistema di apartheid che si applica attualmente all’insieme del popolo palestinese (ai Palestinesi dei TPO, ma anche ai rifugiati e ai palestinesi di Israele); ad abrogare tutte le leggi e pratiche discriminatorie; e a smettere di perseguitare i Palestinesi ovunque risiedano.
La Palestina è oggi in grado di firmare e ratificare lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale e quindi di diventare membro a pieno titolo della CPI. Il Tribunale sostiene l’appello lanciato dalla società civile palestinese affinché la Palestina prenda urgentemente queste misure e la CPI apra immediatamente una inchiesta sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità ai quali fa riferimento il Tribunale e che sono documentati da ONG palestinesi e internazionali come anche da esperti giuristi nel corso di molti anni, commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Roma il primo luglio 2002.
Il Tribunale richiede al Procuratore della Corte Penale internazionale di dichiararsi competente per la Palestina, come lo hanno richiesto le autorità palestinesi nel gennaio 2009 e di aprire un’inchiesta “quanto più rapidamente possibile” come l’ha chiesto il “rapporto Goldstone”, sui crimini internazionali commessi sul territorio palestinese dal primo luglio 2002, compresi i crimini di apartheid.
Analogamente, il Tribunale appoggia gli appelli lanciati dalla società civile palestinese affinché la Palestina ratifichi altre importanti Convenzioni, incluse:
- Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 sulla legge di guerra e i loro due protocolli del 1977;
- Il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali;
- Altre Convenzioni importanti relative ai diritti umani, in particolare la Convenzione contro la tortura;
- Le Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari. Questo permetterebbe alla Palestina di rafforzare le sue relazioni diplomatiche con altri Stati;
- · La convenzione sulla legge del mare. Questo fornirebbe alla Palestina una base giuridica solida per rivendicare un territorio marittimo fino a 12 miglia marine e una zona economica esclusiva di 200mila miglia marine nelle acque che circondano Gaza.
Azioni specifiche delle Nazioni Unite
L’Assemblea generale dell’ONU è chiamata a reinsediare il Comitato speciale contro l’apartheid dell’ONU e a convocare una sessione straordinaria per esaminare la questione apartheid nei confronti del popolo palestinese. A tale proposito il Comitato dovrebbe stilare una lista di individui, organizzazioni, banche, società, imprese, associazioni caritatevoli, e organismi pubblici o privati che assistono Israele nel suo regime di apartheid in vista di assumere misure appropriate.
L’Assemblea generale dell’ONU dovrebbe richiedere un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia, come l’hanno richiesto l’attuale e il precedente Rapporteur speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati così come lo Human Sciences Research Council del Sud Africa per esaminare la natura, le conseguenze e lo statuto giuridico del regime prolungato di occupazione e di apartheid di Israele.
L’ONU deve ritirarsi dal cosiddetto Quartetto che va sciolto immediatamente, dal momento che ha agito come blocco contro l’applicazione del diritto internazionale mentre dava la falsa impressione di condurre un reale processo di pace.
L’Unione europea e i suoi Stati membri
Il Tribunale chiede agli organismi interessati della UE di applicare la Risoluzione del Parlamento europeo che esige la sospensione dell’accordo di associazione euro-mediterraneo e di mettere cos’ fine all’impunità di cui ancora oggi gode Israele.
Comunque viene richiesto alla UE di proibire le importazioni di tutti i prodotti provenienti dalle colonie.
Gli Stti membri della UE sono pregati di rafforzare il reciproco iuto e la cooperazione giudiziria in materia penale atraverso i punti di contatto della UE, di EUROPOL, di INTERPOL, ecc;
I parlamentari austriaci, francesi, greci e italiani sono pregati di adottare le leggi che, conformemente all’art. 146 della quarta Convenzione di Ginevra, permetterebbero l’esercizio della competenza universale in questi Stati.
Azioni che devono essere intraprese da tutti gli Stati
Tutti gli Stati devono:
- Applicare le raccomandazioni che compaiono al paragrafo 1975 (a) del rapporto della Missione per stabilire i fatti dell’ONU sul conflitto di Gaza (rapporto Goldstone) in materia di raccolta di elementi di prova e di competenza universale relativamente ai crimini attribuiti a dei sospetti israeliani e palestinesi;
- eliminare ogni restrizione di legge interna che impedirebbe di rispettare l’obbligo di perseguire o estradare (judicare vel dedere) qualsiasi autore presunto di un crimine di guerra o di un crimine contro l’umanità;
- evitare di limitare il campo della competenza universale al fine di garantire che nessuno Stato membro della UE possa diventare rifugio di sospettati di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità;
- seguire l’esempio degli Organismi pubblici olandesi che hanno aperto una inchiesta su una impresa olandese sospettata di complicità di violazione del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale per aver fornito a Israele materiali usati per la costruzione e la manutenzione del muro illegale;
- applicare la legislazione esistente contro le imprese, allorché agisconoin violazione del dirito internazionale dei diritti umani e delle norme del diritto umanitario;
- · prendere misure adeguate per garantirsi che le aziende commericali domiciliate sul loro territorio e/o sotto la loro giurisdizione, comprese le aziende da loro possedute o controllate, e che hanno attività nelle colonie illegali nei TPO o che sono legate a queste, rispettino i diritti umani nel corso delle loro operazioni;
Azioni che devono essere intraprese dagli USA
Gli USA devono mettere fine al sostegno unilaterale economico finanziario militare e diplomatico accorato ad Israele e che li rende direttamente complici di una grandissima gamma di violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Gli USA devono in particolare cessare la loro politica distruttrice del ricorso al diritto di veto al Consiglio di sicurezza ONU, più in particolare in relazione alla questione delle colonie israeliane, il cui carattere illegale è riconosciuto dagli stessi USA.
Azioni da intraprendere nei confronti delle imprese
Come indicato più sopra, è necessario attirare l’attenzione delle autorità giudiziarie, degli azionisti, ecc. sulle prove di complicità in crimini di guerra e altre violazioni del diritto internazionale fatte dalle imprese, e di favorire una serie di azioni comprese quelle legate alla campagna BDS e il perseguimento civile, in particolare in applicazione dell ’Alien Tort Statute negli Stati Uniti che prevede una via per il ricorso in caso di violazioni gravi del diritto internazionale.
Per quanto riguarda la responsabilità non giuridica delle imprese il Tribunale sostiene le richieste depositate presso i punti di contatto nazionali dell’OCSE per l’apertura di una mediazione e/o di una indagine e l’ottenimento di una decisione finale.
Il Tribunale si unisce all’appello lanciato dal movimento BDS, tra gli altri, al boicottaggio mirato di imprese come Veolia, G4S, Ikea e Caterpillar, come anche di imprese israeliane che forniscono assistenza all’occupazione del territorio palestinese e ne traggono profitto come Ahava
Le iniziative della società civile
Guardando ai successi registrati dal movimento di solidarietà mondiale con la Palestina, il Tribunale rinnova il suo appoggio e si congratula con la campagna Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni (BDS), che deve intensificarsi (vedere qui sotto) in seno all’Unione Europea ed estendersi ad altri Stati, organizzazioni regionali e istituzioni intergovernativi.
Il Tribunale chiede agli individui, ai gruppi e alle organizzazioni di pendere tutte le misure necessarie per assicurare il rispetto:
- da parte di tutti gli Stati, gruppi di Stati, organizzazioni regionali, organizzazioni intergovernativi ed anche le Nazioni Unite, dei loro obblighi succitati, in particolare l’esercizio della competenza universale;
- da parte delle imprese, del diritto internazionale relativo ai diritti umani e delle norme del diritto umanitario, in particolare: boicottando le imprese complici delle violazioni del diritto internazionale, spingendo gli azionisti a obbligare le imprese a mettere fine a tali violazioni; spingendo i fondi pensione a cessare gli investimenti macchiati di illegalità, e assumendo iniziative che continuino a mettere sotto i riflettori le imprese con il fine di operare un cambiamento di cultura e nelle attività delle imprese – in riferimento alla dichiarazione della Corte internazionale di giustizia che figura nel parere consultivo sul muro, secondo la quale esiste un obbligo erga omnes di non riconoscere o prestare assistenza alla situazione illegale derivante dalla costruzione del muro da parte di Israele in violazione del diritto internazionale umanitario.
Il Tribunale chiama i movimenti della società civile del mondo – i movimenti per la giustizia sociale, le organizzazioni contro il razzismo, le organizzazioni ecologiste, i movimenti per la pace ed altri – a includere nel proprio lavoro la solidarietà palestinese. La società e le organizzazioni civili dovranno appoggiare gli sforzi offerti per avviare procedimenti nella loro giurisdizione, in particolare facendo campagna sulle questioni di impunità e informando il pubblico sull’obbligo che hanno gli Stati di fornire una strada per il ricorso contro l’impunità israeliana come documentata da ONG israeliane e palestinesi.
D’altra parte, il Tribunale richiede agli attori della società civile di impegnarsi in modo sistematico ad informare l’opinione pubblica al fine di garantire:
- che ci sia una maggior pubblicità intorno alle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele e intorno al fatto che l’annessione de facto di terre palestinesi da parte di Israele con l’istallazione delle colonie, del muro e del controllo sulla zona C impedisce sempre più al popolo palestinese di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione;
- una miglior comprensione delle inadempienze delle Nazioni Unite e della complicità degli Stati Uniti nelle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele;
- che si intenda con chiarezza e ampiamente che la posizione dell’ONU sul conflitto nella regione non può essere “perfettamente equa” ma dovrebbe essere chiaramente contro l’occupazione e l’apartheid;
- che le campagne di « pinkwashing » e altre campagne associate non siano autorizzate a negare violazioni sistematiche dei diritti dei Palestinesi da parte di Israele;
- che i media sociali ed elettronici vengano usati in maniera efficace per contrastare le informazioni distorte o silenziate nei media occidentali a proposito delle pratiche coloniali e di apartheid israeliane.
Il Tribunale promuove l’idea di un partenariato tra organismi dell’ONU e società civile al fine di fare pressione su Israele sulle questioni di BDS ispirandosi direttamente all’esperienza del movimento anti-apartheid in Sud Africa negli anni 1970, 1980 e 1990. La società civile deve mobilitarsi per sostenere gli sforzi dell’ONU quando questi sono oggetto di attacchi (per esempio il rifiuto di accordare l’ingresso nei TPO al Relatore speciale dell’ONU Richard Falk, le minacce pesanti sul finanziamento alle agenzie dell’ONU legate alla Palestina…ecc)
Altre questioni, compresa la questione della conservazione del patrimonio del TRP
Il Tribunale appoggia la realizzazione di lavori di ricerca in vista di ottenere una definizione giuridica di sociocidio che metta l’accento sulla natura illegale e penale del colonialismo e della negazione del diritto alla autodeterminazione di un popolo e che potrebbe essere incorporata nel progetto di convenzione sui crimini contro l’umanità e/o in una convenzione a parte sul sociocidio. Sollecita anche i donatori di fondi a sostenere la ricerca universitaria indipendente su questo tema, guardando ai torti causati ai popoli colonizzati dell’Africa, Asia e America Latina come anche agli Amerindi, al popolo aborigeno dell’Australia, al popolo del Sahara occidentale e al popolo palestinese.
Il Tribunale richiede di trattare la questione dei prigionieri palestinesi con urgenza e di considerarla un argomento di grande preoccupazione a livello internazionale. L’accento va messo sulla frequente detenzione di donne e bambini palestinesi, sulle condizioni di detenzione inaccettabili, sugli internamenti di lunga durata senza accuse né processi e sulle questioni sollevate dagli scioperanti della fame palestinesi. La giuria sottolinea l’importanza simbolica dei prigionieri in un contesto di occupazione coloniale e sottolinea l’importanza della libertà come punto di partenza per le azioni future. Il Tribunale propone la creazione di un comitato internazionale che raggruppi ex prigionieri politici per fare campagna sulla questione dei prigionieri.
Mentre la sessione di Bruxelles del 16 e 17 marzo 2013 conclude il mandato del Tribunale Russell sulla Palestina, la ricerca della pace e della giustizia in Palestina continua. I componenti della giuria riaffermano il loro impegno a continuare ad agire in questa direzione e si impegnano a farsi carico della diffusione continua dei lavori del Tribunale Russell nelle loro circoscrizioni, società, reti rispettive. La lettera aperta scritta da Roger Waters ai suoi colleghi dell’industria musicale è un esempio così come la partecipazione di membri del Tribunale Russell al Forum sociale mondiale di Tunisi. Come rete di giuristi, attivisti politici, e personalità pubbliche, i componenti del Tribunale continueranno a vigilare sulla evoluzione della situazione sul terreno in Palestina e si riservano il diritto di riunirsi di nuovo se la situazione lo renderà necessario. Il Tribunale chiama i Comitati nazionali di appoggio al TRP a proseguire nel lavoro e nell’impegno a far rispettare il diritto internazionale da parte di Israele.
In collaborazione con i comitati nazionali, un comitato per seguire le conclusioni del Tribunale curerà di:
- effettuare regolarmente controlli e aggiornamenti dell’applicazione delle conclusioni e delle azioni proposte dal TRP;
- promuovere studi su diverse questioni, quali un metodo che consenta di determinare l’ammontare dei danni economici subiti dai Palestinesi a causa dell’espansione coloniale; gli effetti della campagna BDS sulla economia israeliana; quali società israeliane manomettono le etichette le etichette dei loro prodotti; il volume delle esportazioni delle colonie che arriva ai mercati europeo e altri; e quali tecnologie provenienti dall’occupazione sono esportate in Europa e utilizzate da paesi democratici;
- creare un documento che riprenda le “domande più frequenti” (FAQ) » per ognuna delle conclusioni del Tribunale;
- · produrre una serie di schede di informazione brevi, coerenti e facili da leggere che spieghino le conclusioni raggiunte dal Tribunale ed inviarle ai parlamentari nazionali ed europei, ai sindacalisti, agli attivisti, agli studenti, ai professori, ecc. e permettere così che un ampio insieme di prove, argomenti giuridici e conclusioni sia pronto per essere utilizzato;
- patrocinare riunioni ed iniziative private di strategia e di riflessione che riuniscano pensatori ed attivisti palestinesi in Europa, negli Stati Uniti, in altre regioni della diaspora, particolarmente in America Latina, nei campi profughi, nei TPO e in Israele per concentrarsi su questioni importanti attuali come: dove andiamo? Che cosa vogliamo? Quali sono gli ostacoli? Come possiamo arrivarci? Quale percorso seguire per l’avvenire? Dopo lo svolgimento di queste riunioni, un incontro generale di palestinesi dovrebbe riassumere i dibattiti, determinare i percorsi per l’avvenire della lotta del popolo palestinese e la sua resistenza per raggiungere pienamente i suoi diritti fondamentali.
[1] Jean-Paul Sartre, dichiarazione inaugurale del Tribunal Russell sul Vietnam, 1967
[2] Conclusioni complete di ogni sessione (en, fr, nl) su: russel.association-belgo-palestinienne.be
[3] http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-21249431
[4] http://frontpagemag.com/2013/eric-burns/the-bedouin-rebellion-against-israel/.
[5] http://m.irinnews.org/Report/97352/Furore-in-Israel-over-birth-control-drugs-for-Ethiopian-Jews.
[6] Corte Internazionale di giustizia. Raccolta delle decisioni. Parere consultivo e ordinanze. « Conséquences juridiques de l’édification d’un mur dans le territoire palestinien occupé, avis consultatif de Juillet 2004 ».
[7] Articolo 42 del Regolamento dell’Aia 907 dispone che un « territorio è considerato come occupato quando si trova di fatto collocato sotto l’autorità dell’esercito nemico”.
[8] John Reynolds, ‘Third World Approaches to International Law and the Ghosts of Apartheid’ in The Challenge of Human Rights: Past, Present and Future (Cheltenham: Edward Elgar, 2012) pag. 214.
[9] Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale, ‘Observations finales: Israël’, Doc ONU CERD/C/ISR/CO/14–16, 9 marzo 2012, par. 24.
[10] Consiglio dei diritti umani dell’ONU « Rapport de la Mission internationale indépendante d’établissement des faits chargée d’étudier l’impact des colonies de peuplement israéliennes sur les droits civils, politiques, économiques, sociaux et culturels du peuple palestinien dans le territoire palestinien occupé, y compris Jérusalem-Est », Doc ONU A/HRC/22/63, par. 49.
[11] Vedere ad esempio Chaim Levinson, ‘Israel introduces ‘Palestinian only’ bus lines, following complaints from Jewish settlers’, Ha’aretz, 3 marzo 2013.
[12] Un esempio di una tale definizione è alle pagg. 2 e 3 del documento di Daniel Machover marzo 2013 sottoposto alla giuria nella sessione finale. Riferirsi anche alla ultima sezione di queste conclusioni riguardo alle azioni future.
[13] L’iniziativa di creare il Quartetto è apparsa dopo l’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000. Il 25 ottobre 2001 i rappresentanti di UE, ONU, e dei governi americani e russo hanno incontrato il dirigente palestinese Yasser Arafat e hanno congiuntamente espresso il loro appoggio alla sua politica di applicazione di un cessate il fuoco e di riforme in materia di sicurezza all’interno dell’Autorità Palestinese. In occasione delle incursioni israeliane in zone palestinesi nell’aprile 2002, i rappresentanti delle stesse quattro entità si sono riuniti a Madrid ed hanno di nuovo lanciato un appello per l’applicazione degli accordi di cessate il fuoco negoziati dal Governo degli Stati Uniti. In occasione di questa stessa riunione hanno anche deciso di trasformare la loro cooperazione quadripartita in un forum permanente per seguire l’evoluzione del processo di pace israelo-palestinese.
traduzione a cura di Alessandra Mecozzi